Scriverò della cucina con l’attenzione che un padre presta ad un figlio. Non per presunzione, ma solo perché per destino gran parte della mia esistenza è stata scandita dalla solidità del cibo. Cercherò, per quanto mi sarà possibile, di non dare ricette limitandomi a presentare un universo che si modifica ogni volta che, entrando in un ristorante, guardo un cuciniere alle prese con quello che in quel momento è l’istante dell’esistenza.Nel cibo ci sono il rispetto, l’amore, l’odio, la rassegnazione, la creatività, l’attesa, l’estetica, il tempo, l’immaginazione, il fascino di essere rinchiusi tra mura, fuochi, coltelli, sangue e sudore… eppure è un viaggio. Qualsiasi cosa io abbia toccato, tagliato, sminuzzato, cucinato nella mia vita è stato un cammino con regole precise e gerarchie mantenute in maniera rigidissima. E i miei cuochi che dopo quindici ore al giorno diventavano fratelli e figli in un’armata di brancaleoni dalle occhiaie spesse, dalle mani rovinate, dalle migliaia di sapori mischiati nella bocca onnivora e nelle urla.
Ho visto camminare il mondo nelle cucine con i suoi lineamenti, con i suoi idiomi, con le sue culture, con quella democrazia introvabile dove solo la bravura e il rispetto contano e tutto il resto nemmeno te lo ricordi più la sera attorno ai tavoli anche se ti sei bestemmiato addosso e avresti potuto ucciderti nel fumo e nel caldo asfissiante che sale da tutto quello che ti sta attorno.
Racconterò e descriverò quello che più conosco e che mi da ogni volta che lo vedo la tranquillità di sapere che ci sono ancora dei sognatori e dei folli che ogni mattino consapevolmente si mettono una divisa, entrano in una cucina e lì esplorano, creano, raccontano in un piatto il riassunto della loro vita. Dalle spezie dell’India, al pesce del Giappone, dalle foglie del Sud America, all’essenzialità del Nord Africa, dall’abbondanza europea, alle origini dell’Asia, assaggiare quello che esce dalle mani di un cuoco vuol dire assaggiare un uomo, una nazione, un viaggio che inizia e non finisce mai.
Questo bolg mi rievoca un lontano ricordo.
” lo sguardo attento e stupefatto di una bambina , un suono tipo tam-tam, un lamento angosciante e stridulo del povero maiale che andava al macello,consapevole del macabro rituale, il suo sguardo trasmetteva la paura e il terrore che stava provando; gli uomini e le donne del vicino podere si riunivano e si davano vicendevolmente una mano per questo “evento”. Ad infliggere il colpo mortale non era mai chi lo aveva accudito e cresciuto; il sangue scorreva copioso e parte di esso veniva raccolto in una bacinella di plastica azzurra, e usato per fare il 2sanguinaccio” , la nutella di una volta fatta con sangue, cioccolato e cannella.
Le donne mettevano sul fuoco grossi calderoni di rame oramai diventati nero carbone ,e bollivano tanta acqua per “depilare” l’animale steso su uno scanno di legno; infine decapitato,veniva appeso alla trave più alta del soffittoe lasciata “frollare” per un giorno e una notte per maturare le carni; parte della testa veniva cucinata subito dalle donne per “premiare” il duro lavoro degli uomini,che sarebbe ripreso l’indomani per 2sfasciare” il maiale, ossia ridurlo in pezzi perchè nell’economia familiare il maiale rappresentava una grande fonte di reddito in quanto non si buttava nulla; gli intestini per fare la salsiccia , la pelle per le cotiche,le ossa , i piedi. gli occhi e la lingua per fare la famosa gelatina dal profumo di alloro e aceto.- Il mio olfatto percepiva odore di sangue, fango, e quel particolare odore della carne cruda, tutto ciò si confondeva con il profumo e l’aroma che proveniva dalla cucina, dove le donne con grembiuli e fazzoletti in capo, lessavano la verza e a parte cucinavano le puntine del maiale ; il bene e il male si confonfevano, ma quel delizioso profumo offuscava l’odore acre del maiale appeso alla trave.-
ai miei occhi all’improvviso una grande tavolata fatta con scanni di legno , gli uomini seduti chiacchieravano e pregustavano il cibo che da lì a poco le donne avrebbero servito, verza con puntine di maiale cucinate con il pomodoro e gli aromi di stagione, una prelibatezza per gli occhi e per il palato, gli uomini mangiavano . gradivano e bevevano un vino rosso corposo, le donne li servivano e solo quando avevano finito prendevano il loro posto frettolosamente, perchè c’era tanto da fare , mangiavano tutto quello che era avanzato, erano sorridenti e soddisfatte, la giornata volgeva al termine;-
un bacio
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Maria il tuo commento è un post dentro il post. La tua abilità descrittiva e il fatto che tu abbia voluto condividerla con noi ci riempie il cuore di gioia. Grazie.
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