Thailandia 2016. La cucina thai e il Capodanno cinese.

Mangiare a Bangkok, e più in generale in Thailandia, è un altro tema assai interessante. Qualsiasi guida turistica voi acquisterete vi racconterà che ovunque andiate potrete trovare cibi di strada invitanti con cui sfamarvi giorno e notte. Ebbene questo è vero, ma si tratta di una verità parziale perché l’offerta di cibo è pressoché infinita, ma molto dipende da quanto siete disposti a rischiare. Ad ogni angolo di strada, in ogni piazza, davanti a qualsiasi tempio o luogo di interesse turistico, a ridosso di ogni molo lungo il fiume, sui marciapiedi  e, naturalmente, in qualsiasi mercato voi andrete troverete bancarelle che espongono e vendono cibo di ogni genere. Tuttavia la carne e il pesce prima e dopo la cottura rimangono per ore sotto il sole e trattandosi di bancarelle senza acqua corrente e senza le minime norme igieniche necessarie è facile intuire che se deciderete di mangiare per strada lo farete a vostro rischio e pericolo. D’altro canto ci sono ristoranti ben nascosti che al contrario sono puliti e offrono una cucina thailandese curata… si, ben nascosti perché essendo la Thailandia ufficialmente la meta per chi vuole spendere pochissimo, i ristoranti dove si spende poco (decisamente poco rispetto ai nostri standard) hanno vita più difficile, ma sarete in grado di trovarli ugualmente affidandovi ai più noti portali web. La cucina thailandese è molto varia e ricca di carne, pesce e verdura, ma pecca di un eccesso di zucchero che rende tutti i piatti troppo dolci e sostanzialmente molto simili tra loro, sebbene probabilmente nelle zone di mare potrebbe essere più semplice trovare piatti cucinati in modo più semplice vista l’affluenza turistica. Tuttavia se siete amanti come noi di frutta, potreste felicemente sopravvivere anche solo con mango, ananas, cocco, papaia, anguria e molte altre straordinarie varianti di frutta esotica.

Non si può poi dimenticare che soprattutto a Bangkok gli appassionati di cucina cinese potranno trovare soddisfazione nell’immenso quartiere di Chinatown. In Thailandia più in generale la comunità cinese è molto numerosa e, da qualche anno, è aumentato notevolmente anche il numero di turisti cinesi che stanno letteralmente colonizzando le mete più ambite e più note creando non pochi problemi anche alle agenzie turistiche locali.  Non è un mistero, infatti, che i cinesi amano spostarsi in gruppi talmente numerosi da poter paragonare i lori movimenti ad un vero e proprio esodo di massa e questo comporta spesso l’impossibilità per i comuni mortali di trovare un posto libero o magari tranquillo quando la propria permanenza coincide casualmente con la loro. Tutto questo poi si aggrava enormemente quando si incappa nel Capodanno cinese. E indovinate chi ha deciso di andare in Thailandia proprio durante i festeggiamenti del nuovo anno della Scimmia? Non che l’avessimo previsto, s’intende, ma quando si dice che la sfortuna ci vede benissimo…

Ebbene si, noi arriviamo a Bangkok il 15 febbraio e il 18 inizia il capodanno cinese i cui festeggiamenti per tradizione durano quindici giorni durante i quali almeno un terzo della popolazione cinese benestante trascorre la proprie vacanze in Thailandia che in questo senso è un po’ come l’Emilia Romagna per i milanesi. Ciò si traduce in una quantità di cinesi inimmaginabile in giro per le strade, sui mezzi pubblici, in visita ai templi, in gruppi di cinquanta o cento con la maglietta a righe o con il cappellino arancione che si spostano in moto sincronizzato investendo tutto ciò che si frappone lungo il loro cammino… noi compresi. Insomma, detto francamente, un tipo di turismo letteralmente di massa che non amiamo molto. La nota positiva da un punto di vista folcloristico è stato visitare il quartiere di Chinatown durante i festeggiamenti di capodanno. Le strade sono addobbate con oggetti caratteristici e il colore prevalente è il rosso indossato anche dalle persone con intento propiziatorio.

La festa inizia il giorno della vigilia durante il quale si banchetta in famiglia e per strada e termina il quindicesimo giorno con la festa delle lanterne a cui purtroppo non abbiamo potuto assistere.  Il primo giorno del nuovo anno della scimmia, però, eravamo presenti quando si sono svolte le tradizionali danze del leone e del drago, affascinanti esibizioni di più artisti che indossano il costume da bestia e danzano accompagnati da strumenti a percussione. Un’esperienza coinvolgente che ci ha ripagati dello stress accumulato per l’eccesso di densità demografica di quei giorni.
Decidiamo di lasciare Bangkok e ci dirigiamo verso Kanchanaburi, le cascate di Erawan e la ferrovia della morte.
….. continua.

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Il Capodanno cinese 

La lavorazione del croccante

Il Cuciniere. Pane nostrum Parte 1

e-spezzo-il-pane-11b7f711-1db4-45e9-a345-1098068f4785Bread… you can find it through the ages and millenniums. From Ethiopia, birthplace of grain, to the Old Testament, bread it’s mentioned in every monotheistic religions.
Symbol of life so in peace as in war, you have to break it with hands and never cut with knife, placed on the tables to the right side. If  bread falls to the ground you have to pick it up and kiss it as a sign of respect.

Prima della scrittura in un legame storico di fede distintore nell’antichità di barbari e uomini civili (Omero per indicare quest’ultimi li diceva come “quelli che mangiano il pane”) essenziale per conoscere un popolo poiché specchio di cultura e tradizioni, il pane attraversa le epoche ed i millenni. Partendo dall’Etiopia dove nacque il grano, trovato scritto nell’Antico Testamento che cita popoli del vicino Oriente e differenzia i pani lievitati da quelli senza lievito, trova spazi in tutte le religioni monoteistiche. Simbolo di vita terreno ed ultraterreno condiviso tanto nella pace quanto nella guerra la tradizione vuole sia spezzato con le mani e mai tagliato col coltello, posto sulle tavole a diritto e se caduto, raccolto e baciato in segno di rispetto. Secondo Ateneo di Naucrati ad Atene si producevano 72 tipi di pane. Oggi sono 1350 quelli di differente schiatta nel Mediterraneo. Un impasto semplice lega la storia dell’umanità in un modo che non prescinde la sua dimenticanza. Il pane sembra ricordare scrittori sempre antichi come Verga e l’eterno assillo dei suoi poveri nella loro primaria occupazione consumata senza companatico dove fatto a piccoli pezzi durava di più o al massimo accompagnato alle cipolle che come ricordava il rampollo dei Malavoglia “aiutano a mandar giù e costano poco”.

La Sicilia bagnata da tre mari, crocevia di popoli invasori guerre e benedizioni si presta a Santo Graal dove se va bene il pane è cunzato o finisce nella zuppa di compare Meno che in una delle Novelle rusticane dice “il pane come lo faceva la buonanima nessuno lo sa fare. Pareva di semola addirittura! E con una manata di finocchi selvatici vi preparava una minestra da leccarvene le dita.” Non si può parlare della cucina senza parlare del pane. Ho verso di lui una considerazione umana, una venerazione al limite del misticismo considerandolo non accompagnamento ma compagno, non cibo ma storia.

Il Cuciniere. A proposito della Spagna

ImpastoCi sono cose che accomunano le cucine del Mediterraneo. Sono cucine mischiate, illegittime, cucine regionali frutto della relazione culturale tra fame, risorse e fantasia.
La cucina spagnola non esiste! – diceva Manuel Vasquez Montalban, indicando le autonomie gridate di un popolo che si sente di lingua uguale, ma di storia diversa. Qualche turista frettoloso direbbe che la cucina spagnola è paella, tortilla di patate, prosciutto serrano convinto d’avere assaggiato quantomeno l’idea platonica del cibo spagnolo, ma cibo e poesia in questa nazione vanno di pari passo e molti degli scrittori di cucina erano anche poeti e molti poeti sono stati influenti gastronomi creando così una sinergia unita ad una visione edonistica che ha portato nelle ricette e negli stessi gesti del cucinare quella cura e quella delicatezza propria del raccontatore.
Dal nord cantabrico con la semplicità galiziana, mai modificata dal cuoco, alla sofisticata basca con gli umidi di baccalà. Lungo le falde dei Pirenei con l’ esperimentazioni navarrine e aragonesi golose della caccia e delle dense minestre d’inverno. Cercando l’agrodolce medievale della Catalogna alla maniera di alcuni piatti toscani, fino a spingersi ad un barocco tanto carico da esaltarsi nelle composte di baccalà. E poi Valencia corretta da spezie di memoria araba aggiunte nel brodo di pesci di roccia che poi dimentichi nell’andaluso gazpacho estivo immaginoso di un popolo povero, con la menta ed il cumino ad aiutare il palato prima dell’agnello cotto in miele di rosmarino.
Soprendendovi andate, se potete, di regione in regione a girovagare sulle tavole, sulle strade, nei posti spersi non globalizzando il gusto, ma esperimentando le culture e dimenticandovi per un po’ della paella, della tortilla di patate e del prosciutto serrano.

Il Cuciniere. Scriverò della cucina…

Il_cuciniereScriverò della cucina con l’attenzione che un padre presta ad un figlio. Non per presunzione, ma solo perché per destino gran parte della mia esistenza è stata scandita dalla solidità del cibo. Cercherò, per quanto mi sarà possibile, di non dare ricette limitandomi a presentare un universo che si modifica ogni volta che, entrando in un ristorante, guardo un cuciniere alle prese con quello che in quel momento è l’istante dell’esistenza.Nel cibo ci sono il rispetto, l’amore, l’odio, la rassegnazione, la creatività, l’attesa, l’estetica, il tempo, l’immaginazione, il fascino di essere rinchiusi tra mura, fuochi, coltelli, sangue e sudore… eppure è un viaggio. Qualsiasi cosa io abbia toccato, tagliato, sminuzzato, cucinato nella mia vita è stato un cammino con regole precise e gerarchie mantenute in maniera rigidissima. E i miei cuochi che dopo quindici ore al giorno diventavano fratelli e figli in un’armata di brancaleoni dalle occhiaie spesse, dalle mani rovinate, dalle migliaia di sapori mischiati nella bocca onnivora e nelle urla.
Ho visto camminare il mondo nelle cucine con i suoi lineamenti, con i suoi idiomi, con le sue culture, con quella democrazia introvabile dove solo la bravura e il rispetto contano e tutto il resto nemmeno te lo ricordi più la sera attorno ai tavoli anche se ti sei bestemmiato addosso e avresti potuto ucciderti nel fumo e nel caldo asfissiante che sale da tutto quello che ti sta attorno.
Racconterò e descriverò quello che più conosco e che mi da ogni volta che lo vedo la tranquillità di sapere che ci sono ancora dei sognatori e dei folli che ogni mattino consapevolmente si mettono una divisa, entrano in una cucina e lì esplorano, creano, raccontano in un piatto il riassunto della loro vita. Dalle spezie dell’India, al pesce del Giappone, dalle foglie del Sud America, all’essenzialità del Nord Africa, dall’abbondanza europea, alle origini dell’Asia, assaggiare quello che esce dalle mani di un cuoco vuol dire assaggiare un uomo, una nazione, un viaggio che inizia e non finisce mai.