Monte Argentario e il Tombolo della Feniglia

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Vista panoramica sul Tombolo e su Orbetello

Sorprendentemente a volte ci si ritrova in luoghi magnifici di cui neppure si sospettava l’esistenza. E’ quello che ci è successo quando abbiamo deciso di fermarci nella provincia di Grosseto, in Toscana, facendo tappa nel comune di Monte Argentario. La morfologia di questo territorio racconta una storia davvero interessante che si traduce in un promontorio unico nel suo genere. L’Argentario nasce come isola, come le sue vicine sorelle Giglio e Giannutri, ma nel corso dei secoli l’azione del mare unita a quella del fiume Albegna ha creato due strisce di terra, i cosiddetti Tomboli della Giannella e della Feniglia, che l’hanno unita alla terraferma nel tratto di costa su cui affaccia il comune di Orbetello. Il mare così chiuso tra i due tomboli diventa laguna e il risultato di tutto questo fenomeno è un paesaggio straordinario e un ecosistema vario e florido che è la ricchezza di questo territorio.

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Vista panoramica

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Vista panoramica su Orbetello

Monte Argentario è una piacevole sosta generosa di luoghi di interesse tra i due piccoli centri abitati di Porto Santo Stefano e Porto Ercole, le sue spiagge e calette rocciose, la Fortezza spagnola e i numerosi belvedere che, grazie all’altezza collinare, offrono magnifiche vedute panoramiche su tutta la costa. Ma quello che davvero stupisce per la specificità del luogo è il tombolo. Mentre quello della Giannella è stato interamente urbanizzato con case, locali, ristoranti e tutto ciò che il turismo possa desiderare per ogni tipo di tasca, il Tombolo della Feniglia, dopo essere stato devastato durante l’800 quando venne venduto a privati che sfruttarono talmente il territorio da arrivare alla deforestazione, è stato recuperato creando nel 1971una riserva naturale dopo un lento e complesso processo di rimboschimento durato settant’anni. Oggi è un’ incantevole duna sabbiosa racchiusa tra la collina di Ansedonia e il Monte Argentario che internamente affaccia sulla Laguna di Orbetello, mentre il lato esterno direttamente sul mare per una lunghezza di sei chilometri.

Camminando lungo la pista ciclo-pedonale che attraversa in lungo tutta la duna la prima cosa che colpisce è la lussureggiante vegetazione che cambia a seconda che sia rivolta verso il mare o verso la laguna passando da pini marittimi e macchia mediterranea a ginepri e sughere fino a diventare più rada con le tipiche latifoglie delle paludi salmastre.Grazie al silenzio che regna in questo paradiso facilmente si incontrano animali selvatici che qui vivono sereni e liberi, come cinghiali e daini, volpi e tassi, oppure specie ornitologiche davvero uniche come l’upupa e la ghiandaia, l’airone e il germano, e molti altri ancora motivo per cui la Feniglia è un punto di riferimento in Italia per i birdwatcher. Personalmente pedalando amabilmente e godendo della tranquillità del luogo, ci è capitato di incrociare molte di queste specie animali come, ad esempio, un’ intera famiglia di daini che senza timore ha attraversato la pista davanti a noi regalandoci un’ esperienza indimenticabile.

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Caletta

 

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Porto Santo Stefano

Rimane poi il piacere di trascorrere qualche ora in spiaggia, alla quale si arriva grazie ad alcuni accessi ben segnalati lungo la pista. Ad esclusione di un paio di lidi posizionati proprio all’inizio della duna dal lato di Monte Argentario, il resto della spiaggia è selvaggia di sabbia fine e dorata dove solo la fantasia di alcuni bagnanti ha creato ripari costruiti con rami secchi arenati. Un privilegio unico poter godere di una spiaggia intatta e incontaminata, una rarità che varrebbe da sola la sosta in questi luoghi.
Una tappa ad Orbetello, magari per una cena al tramonto sul lungomare, può essere la chiosa perfetta per questo inaspettato e sorprendente breve viaggio alla scoperta di luoghi italiani sconosciuti e straordinari.
E noi continuiamo ad esplorare alla ricerca di queste piccole gemme che rendono unico il nostro Paese… sempre pronti ad essere sorpresi.

Consigli pratici:
Useful information
Dormire/Accomodation: Agriturismo Monte Argentario

Mangiare/Taverns: Ristorante Il Cavaliere

Sarajevo, meeting of cultures.

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Convivenza, integrazione, tolleranza, rispetto, multiculturalismo, libertà di culto… definizioni quanto mai attuali. Sarajevo per molti, moltissimi anni è stata un esempio in tal senso, un faro, un punto di riferimento, la dimostrazione concreta che tutto ciò è possibile, che etnie diverse con tradizioni diverse e culti religiosi differenti possono non solo convivere pacificamente, ma integrarsi a tal punto da mantenere la propria diversità nell’unità. Serbi, croati, bosniaci e molte altre etnie insieme, matrimoni misti, moschee di fianco a chiese cattolico-ortodosse di fronte a sinagoghe. Un esempio nel mondo, un faro, un punto di riferimento… per molti, moltissimi anni.

Poi, un giorno, in questa realtà paradisiaca succede qualcosa e l’inferno prende il sopravvento. Improvvisamente mogli e mariti tornano ad essere serbi e bosniaci, i vicini di casa diventano musulmani e cattolici, i colleghi di lavoro croati ed ebrei. Ciò che fino al giorno prima era unito all’improvviso torna ad essere separato, l’uguaglianza lascia il posto alla diversità, il rispetto viene sopraffatto dall’odio. Un odio feroce, profondo… talmente profondo da rivelare una agghiacciante verità: quella convivenza, quella integrazione erano false, finte, apparenti… dietro, sotto, nell’intimo covava l’odio, il rancore, il disprezzo. La guerra nei Balcani del 1992 ha sorpreso tutti, sia fuori che dentro l’ex Jugoslavia. Nessuno poteva credere che davvero stava succedendo qualcosa di terribile, l’inizio di una guerra civile che supera ogni limite umano e che sfocia in sterminio, in pulizia etnica. Le brutalità commesse durante gli anni della guerra, e in quei 1427 giorni di assedio a Sarajevo, sono inenarrabili e descrivono una natura umana odiosa, abietta, falsa e rancorosa.
L’intervento delle forze internazionali pongono fine alla guerra, ma solo grazie ad un accordo che sancisce e definisce la separazione. Bosniaci da una parte e serbi dall’altra, musulmani di qua e cattolici ortodossi di là. Hanno dovuto separarli per farli vivere pacificamente, sebbene la pace non sia mai stata siglata, mai una firma fu apposta a dichiarare pace fatta.
Oggi Sarajevo si mostra come una città turistica, con un piccolo centro ricco di negozi di souvenir e tanti tour organizzati per visitare i luoghi della guerra. Ci sono ancora moschee, chiese ortodosse e sinagoghe che con la loro compresenza ad ogni angolo di strada sembrano raccontare ai visitatori una storia con un lieto fine dove la diversità ha ritrovato il significato di parole come integrazione e convivenza.
Tuttavia se si osserva con maggiore attenzione, se si è disposti a guardare oltre l’apparenza, se ci si concede del tempo, si colgono segni evidenti e preoccupanti di tensioni mai sopite e pronte ad esplodere di nuovo con ferocia.
Se si alza lo sguardo oltre i negozi di souvenir, se si cammina al di fuori del centro turistico, gli edifici mostrano ancora i segni della guerra. Dopo vent’anni i fori dei proiettili, delle bombe, sono ancora lì a ricordare che non c’è integrazione possibile, che la convivenza tra etnie diverse, tra religioni diverse, forse è un’utopia.

Da una strada all’altra, da un lato all’altro, da un marciapiede a quello dopo, i confini fisici tra Bosnia e Serbia segnano le differenze. I numeri civici sono di colore diverso, la lingua con cui sono scritti i nomi delle strade è diversa, i cartelli stradali non indicano destinazioni diverse a seconda che si proceda dalla Bosnia verso la Serbia o viceversa… tutto questo dentro la stessa città. I musulmani hanno le proprie scuole, i cattolici ne hanno altre, gli ebrei pretendono un riconoscimento, e intanto la tensione aumenta aumenta aumenta…

I musulmani non sposano più i cattolici, i serbi non sposano i croati, i bosniaci non frequentano le stesse località turistiche dei serbi, e intanto l’odio cova cova cova… fino a quando? Cosa succederà? Recentemente i Balcani fanno di nuovo paura, il nazionalismo è ancora un sentimento molto forte, e il pericolo è sempre più tangibile.
Sarajevo non è una meta turistica, è una esperienza di vita… visitare Sarajevo è educativo anche se non rassicurante. Ognuno può cogliere un insegnamento diverso, ma certamente pone un interrogativo: impegnarsi sempre di più per l’ integrazione tra i popoli oppure accettare l’idea che essa è irrealizzabile? Ai posteri l’ardua sentenza.

Consigli pratici:
Useful information
Dormire/Accomodation:Hotel President