Sarajevo, meeting of cultures.

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Convivenza, integrazione, tolleranza, rispetto, multiculturalismo, libertà di culto… definizioni quanto mai attuali. Sarajevo per molti, moltissimi anni è stata un esempio in tal senso, un faro, un punto di riferimento, la dimostrazione concreta che tutto ciò è possibile, che etnie diverse con tradizioni diverse e culti religiosi differenti possono non solo convivere pacificamente, ma integrarsi a tal punto da mantenere la propria diversità nell’unità. Serbi, croati, bosniaci e molte altre etnie insieme, matrimoni misti, moschee di fianco a chiese cattolico-ortodosse di fronte a sinagoghe. Un esempio nel mondo, un faro, un punto di riferimento… per molti, moltissimi anni.

Poi, un giorno, in questa realtà paradisiaca succede qualcosa e l’inferno prende il sopravvento. Improvvisamente mogli e mariti tornano ad essere serbi e bosniaci, i vicini di casa diventano musulmani e cattolici, i colleghi di lavoro croati ed ebrei. Ciò che fino al giorno prima era unito all’improvviso torna ad essere separato, l’uguaglianza lascia il posto alla diversità, il rispetto viene sopraffatto dall’odio. Un odio feroce, profondo… talmente profondo da rivelare una agghiacciante verità: quella convivenza, quella integrazione erano false, finte, apparenti… dietro, sotto, nell’intimo covava l’odio, il rancore, il disprezzo. La guerra nei Balcani del 1992 ha sorpreso tutti, sia fuori che dentro l’ex Jugoslavia. Nessuno poteva credere che davvero stava succedendo qualcosa di terribile, l’inizio di una guerra civile che supera ogni limite umano e che sfocia in sterminio, in pulizia etnica. Le brutalità commesse durante gli anni della guerra, e in quei 1427 giorni di assedio a Sarajevo, sono inenarrabili e descrivono una natura umana odiosa, abietta, falsa e rancorosa.
L’intervento delle forze internazionali pongono fine alla guerra, ma solo grazie ad un accordo che sancisce e definisce la separazione. Bosniaci da una parte e serbi dall’altra, musulmani di qua e cattolici ortodossi di là. Hanno dovuto separarli per farli vivere pacificamente, sebbene la pace non sia mai stata siglata, mai una firma fu apposta a dichiarare pace fatta.
Oggi Sarajevo si mostra come una città turistica, con un piccolo centro ricco di negozi di souvenir e tanti tour organizzati per visitare i luoghi della guerra. Ci sono ancora moschee, chiese ortodosse e sinagoghe che con la loro compresenza ad ogni angolo di strada sembrano raccontare ai visitatori una storia con un lieto fine dove la diversità ha ritrovato il significato di parole come integrazione e convivenza.
Tuttavia se si osserva con maggiore attenzione, se si è disposti a guardare oltre l’apparenza, se ci si concede del tempo, si colgono segni evidenti e preoccupanti di tensioni mai sopite e pronte ad esplodere di nuovo con ferocia.
Se si alza lo sguardo oltre i negozi di souvenir, se si cammina al di fuori del centro turistico, gli edifici mostrano ancora i segni della guerra. Dopo vent’anni i fori dei proiettili, delle bombe, sono ancora lì a ricordare che non c’è integrazione possibile, che la convivenza tra etnie diverse, tra religioni diverse, forse è un’utopia.

Da una strada all’altra, da un lato all’altro, da un marciapiede a quello dopo, i confini fisici tra Bosnia e Serbia segnano le differenze. I numeri civici sono di colore diverso, la lingua con cui sono scritti i nomi delle strade è diversa, i cartelli stradali non indicano destinazioni diverse a seconda che si proceda dalla Bosnia verso la Serbia o viceversa… tutto questo dentro la stessa città. I musulmani hanno le proprie scuole, i cattolici ne hanno altre, gli ebrei pretendono un riconoscimento, e intanto la tensione aumenta aumenta aumenta…

I musulmani non sposano più i cattolici, i serbi non sposano i croati, i bosniaci non frequentano le stesse località turistiche dei serbi, e intanto l’odio cova cova cova… fino a quando? Cosa succederà? Recentemente i Balcani fanno di nuovo paura, il nazionalismo è ancora un sentimento molto forte, e il pericolo è sempre più tangibile.
Sarajevo non è una meta turistica, è una esperienza di vita… visitare Sarajevo è educativo anche se non rassicurante. Ognuno può cogliere un insegnamento diverso, ma certamente pone un interrogativo: impegnarsi sempre di più per l’ integrazione tra i popoli oppure accettare l’idea che essa è irrealizzabile? Ai posteri l’ardua sentenza.

Consigli pratici:
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